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Marisa Collorà: "Addiopizzo", Messina. Quando un bene confiscato diventa bene comune

È questo il titolo dell'incontro tenuto ieri sera nella sede del "Comitato Addiopizzo" nella Via Roosvelt, convocato dalla sua nuova Presidente, Marisa Collorà, che ha preso il testimone da Enrico Pistorino, il primo Presidente alla fondazione dell'organismo nel 2011, seguito da don Terenzio Pastore, che come parroco di Provinciale nei suoi quasi dieci anni alla guida di questa comunità ha fatto una capillare opera di sensibilizzazione rivolta non solo ai commercianti, ma anche allo stesso quartiere di "rivoltarsi" alle illecite abitudini cui ormai questa parte della città rimaneva incatenata.

Ebbene, don Terenzio è riuscito in buona parte a convincere decine di commercianti a non pagare più il pizzo, ad esporre il cartellino della legalità addio pizzo e a determinare una nuova coscienza civile che adesso si è concretizzata solo da pochi giorni con l'approvazione in consiglio comunale del regolamento contro l'attività illecita in materia, non solo di pagamento del tributo mafioso, ma anche contro il gioco d'azzardo e tutto ciò che ruota attorno alle imposizioni mafiose. Quindi, un gran bel traguardo iniziato da quel 2 Dicembre 2012, quando un appartamento del boss Luigi Sparacio venne assegnato con un bando dei beni confiscati alla mafia del Comune, al Comitato Addiopizzo. Cinque anni durante i quali questo comitato, composto in buona parte da giovani coraggiosi e volenterosi, ha sollevato, lo ricordiamo, la coltre di nebbia che copriva nel 2013 la stessa processione della Vara, purtroppo, ancora oggi trascinata da esponenti di clan mafiosi cittadini.

Ma quel 15 Agosto di quattro anni fa è rimasto nella storia per aver mandato sotto processo alcuni componenti del comitato Vara, invischiati in cose non proprio pulite. Ma andiamo alla nostra Marisa Collorà, attuale Presidente, che nell'introduzione davanti ad un parterre di indubbio valore, come il moderatore giornalista Eduardo Abramo (direttore di Tremedia), Carmelo Alba (vicecapo della squadra mobile di Messina), Franco Mondello (attuale consigliere comunale e, nel 2012, assessore al Patrimonio artefice di questa assegnazione), il giornalista Nuccio Anselmo, memoria storica dei gravi fatti di sangue che avvolsero la città a cavallo tra gli anni '80 e '90, l'assessore all'autogestione dei beni comuni Daniele Ialacqua e la professoressa Antonella Agnello (componente del Laboratorio dei Beni Comuni e delle Istituzioni Partecipate), che ha redatto un regolamento in questo settore ancora al vaglio della Giunta e del Consiglio comunale.

La Collorà, nell'introduzione al dibattito, accenna alla questione dei beni comuni come di una "questione complessa perchè ha bisogno di essere masticata per bene per essere compresa". Subito dopo, accenna alla storia di questa organizzazione, ricordando: "noi nasciamo il 21 Marzo 2011, nel giorno della memoria e dell'impegno antimafia e nel 2012 abbiamo avuto, grazie al consigliere Mondello, questo appartamento. Cercherò di spiegarvi perchè dei ragazzi hanno deciso di compiere questa esperienza non senza citare quello che avvenne a Palermo nel 2004".

"Parliamo di dieci anni dopo le stragi in cui ragazzi come noi  - dice - nel periodo di transizione tra l'università e il mondo del lavoro, decisero di aprire un pub. E, nell'aprire questa attività, chiedono un parere ad un commercialista per capire quali potevano essere le spese di apertura e di mantenimento di questa attività commerciale. Nel fare questo, tra le voci spesa, il commercialista mette pure il "pizzo". I ragazzi rimangono meravigliati e si domandano di cosa si trattasse? - racconta - Il commercialista con fare garbato risponde che è una tassa che a Palermo pagano tutti e che quindi è meglio che anche loro la paghino, in modo tale che possono vivere tranquilli. Questi ragazzi, in un primo momento, rimangono arrabbiati non solo per la tassa che devono pagare, e che potevano anche pagare, ma perchè tutto questo accade in un contesto in cui pensavano che la mafia fosse ormai terminata dopo le stragi e invece si risvegliano e si domandano: ma qui cosa sta succedendo? Cosa significa questo diritto che dobbiamo pagare? Allora l'antimafia non c'è è tutto un imbroglio? I nostri parenti, i nostri amici ci hanno imbrogliato? In un momento di scoraggiamento in cui vorrebbero non coltivare più questo sogno, decidono invece di lottare e andare avanti. Però, lo vogliono fare in maniera pubblica, plateale comunicandolo direttamente ai palermitani stessi per svegliarli da questo torpore. Così nella notte del 28 Giugno 2004 Palermo si risveglia tappezzata da volantini a carattere funebre con la scritta: "un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità". La cosa eclatante è che viene messa in discussione la parola dignità."

"La dignità fà riferimento a qualcosa che sta nell'umanità e, se scomponiamo la frase, viene fuori che il popolo che paga il pizzo è un popolo disumano. E allora si scatena un processo inverso. C'è un modo di sconfiggere la mafia perchè questa è un fatto sociale, lo diceva anche Falcone, e come tale può essere sconfitta. Quindi, tutti devono prendersi le proprie responsabilità e la coscienza antimafia diventa una cosa collettiva, un bene comune. Quindi, quei ragazzi mettono in relazione una economia pulita con il cittadino consumatore; mettendo in relazione questo, il pizzo, che comunque è uno strumento di controllo per la mafia, una graffiatina ad essa può essere data. Si può assestare un colpo. Anche Messina attraverso questo modo di diventare antimafia sociale, con persone che partecipano alla vita sociale, ha diritto di farlo".

In un successivo articolo, che pubblicheremo a breve, scriverò anche degli interventi dell'ex assessore Mondello e dell'attuale assessore ai beni comuni Ialacqua, per rendervi edotti che oggi un bene comune non è inteso come purtroppo è opinione diffusa, nella burocrazia comunale, come qualcosa cui grava un canone che deve essere pagato dalla collettività, ma anzi, al contrario è un bene di tutta la comunità e ancora meglio sui beni confiscati alla mafia diventa un pezzo del patrimonio immobiliare cittadino restituito alla fruizione e alla libertà di ciascuno di noi. È difficile far passare questo messaggio e proprio per questo motivo ancora oggi, a distanza di due anni, il regolamento sui beni comuni e le istituzioni partecipate è impantanato nelle maglie intricate della burocrazia comunale.

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